Iniziamo col dire che non esiste una vera scenografia: la “scuraglia” più intensa è sul palco insieme al bravissimo Silvio Barbiero, pronta ad essere dipinta dalle sue parole pronunciate in una lingua novella, quasi un esperanto traboccante di cadenze familiari a chi è nato a certe latitudini.

E’ lui stesso che poco prima di iniziare si rivolge al pubblico, come Eduardo quando portava le sue opere in luoghi foresti, tranquillizzandolo perché l’iniziale spaesamento linguistico svanirà di lì a poco “Vi abituerete, non vi preoccupate”.

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Groppi d'amore nella scuraglia
Silvio Barbiero

L’Elicantropo è un piccolo teatro, custodito nei vicoli della Napoli più antica: un minuscolo spazio creativo che nel tempo ha acquisito un’identità importante, dove la scena di confonde per forza di cose con il pubblico, dove può capitare che gli attori ti guardino dritto negli occhi mentre allineano le immagini delle loro storie sul palco. In un’ora nella scuraglia, Barbiero ci ha guardati ad uno ad uno negli occhi e nei panni di Scatorchio ci ha raccontanto, incantandoci, la sua tenera storia d’amore con Sirocchia, i loro fremiti vissuti nella penombra del bosco, come Amore e Psiche che si amano ingenui e allegri sullo sfondo di una comunità bucolica, semplice ed incontaminata. Ci ha raccontato della sua sanguigna disperazione nel vedersi privato del privilegio del sensuale e profumato seno della sua donna, portata via dal suo rivale Cicerchio, proprietario di un’asinella che sarà parte della sua vendetta. Insieme a lui abbiamo vissuto la  desolazione del paesaggio, trasformatosi presto in una grande discarica di rifiuti, e abbiamo visto la comunità diradarsi fino a scomparire per lasciare il posto ad un’improbabile bestiario repellente e sgangherato. Nella cattedrale dei rifiuti però, poetica e solenne come fosse venuta fuori da una pagina de Le Città Invisibili di Calvino, Scatorchio ritrova un po’ di luce, per ricominciare, e muove i primi passi fuori dalla scuraglia.

Il candore e la musicalità della lingua utilizzata da Tiziano Scarpa, autore del libro di poesia da cui è tratta la piece, è parte fondante del fascino di quest’opera poetica, vitale, sobria e comica allo stesso tempo. La bravura del suo interprete, che ha catturato d’un fiato la nostra attenzione e la nostra ammirazione, sono l’altra.

Resta da chiedersi un’unica cosa: come ha fatto un veneziano a regalare a noi meridionali i più sinceri e schietti groppi d’amore mai provati per la cadenza musicale del nostro idioma materno, umile, insostituibile, primitivo e sublime con la sola forza dell’allusione fonetica? Un veneziano???

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