Che farsene di una porta disarcionata nel nulla che fa a fette il nostro sguardo sul mondo, creando divisioni arbitrarie dello spazio condiviso? Nello spettacolo Hybris del duo Rezza Mastrella una porta impazzita che si apre e si chiude serve a sbattere fuori noi stessi e i nostri pensieri dominanti sulla realtà, pensieri che ci ritroviamo a deridere nella loro assurda illusorietà.

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Hybris, al teatro Vascello fino al 14 gennaio, è una corale catarsi collettiva in cui si ride a crepapelle delle smanie istrioniche di Antonio Rezza: già l’esordio in cui un curioso mantra pseudo religioso si fa bestemmia vernacolare, senza soluzione di continuità, tradisce l’insensata logorrea antropocentrica di cui Rezza ci “accuserà” durante lo spettacolo.

Noi così esatti e assoluti nel creare confini e gabbie sociali che chiamiamo famiglia, casa, amici, sì perché persino il concetto di amicizia non viene risparmiato dalla mattanza sociale di Rezza: tutto implode sotto una comicità aggressiva, scorretta, blasfema che attacca quell’ordinato pantheon di idoli sociali a cui sacrifichiamo l’essere veramente noi stessi.

Rezza con il suo umorismo bisbetico, misantropo, bilioso ci fa ridere di noi senza accorgerci che il ridicolo che inscena non è altro che uno specchio deformante di noi stessi e della furia con cui ci dimeniamo nei nostri tic sociali.

Una scenografia scarna dove una porta che, aprendosi e chiudendosi con sdegno, decide chi sta dentro e chi sta fuori, chi è incluso e chi escluso in un vortice in cui disorientati vediamo il dissolversi, nelle nostre inquietudini, di quei confini a cui ciecamente ci abbarbichiamo. Tutto ciò che pensiamo sia noto e familiare si trasforma in estraneo e viceversa.

Ardito, folle, al di qua di ogni senso comune, Rezza è determinato a svelare l’ambivalenza a cui la società ci condanna issando barriere ideologiche che non bastano mai a definirci.

Una porta imbizzarrita, unico attrezzo di scena, può generare inclusione o esclusione, in una dialettica che serve a nascondere senza mai risolvere le nostre paure e fragilità.

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