Adattare un romanzo complesso come L’asino d’oro non è uno scherzo. O meglio: ci si può scherzare sopra, ma mantenendo fede a una scelta linguistica e semiotica chiara, in cui il pubblico possa ritrovarsi e seguire il filo di un racconto, di per sé, complesso e multidirezionale. È quanto tenta lo sperimentatore Orlando Forioso con un gruppo di giovani attori dall’indubbia energia e dall’infaticabile presenza scenica. Forioso, regista dalla carriera composita e sperimentale, certamente trasversale fra i generi, incarna la figura di un perfetto capocomico: tira le fila della trama, entra nelle improvvisazioni con arte, stabilisce e scandisce i tempi di ogni scena, anche quando non è presente. Si tratta insomma di un regista demiurgo che plasma il materiale scenico – attori compresi – per uno scopo. In questo caso testuale ed extratestuale: raccontare le vicissitudini di Apuleio/Lucio e dimostrare come la bestialità umana prescinda dalla forma animale. Il percorso è chiaro, ma, esattamente come per il romanzo, la trama procede per salti e scene staccate che, a volte, restano talmente distanti da non risultare integrate le une con le altre. Nonostante un grande impiego di mezzi scenici – vero compedio di un teatro artistico e artigianale mirabolante – e l’indubbia suggestione di alcuni passaggi drammaturgici, come quello di Amore e Psyche che sembra riproporre attraverso il movimento nascosto il fremito della statuaria neoclassica, si arriva alla fine perdendo un po’ di vista il plot, in favore, sempre più chiaramente, di un collegamento con il contemporaneo. Cioè la singola scena mira più al messaggio in sé che a ricordarci del povero Lucio/Asino. Certo, la musica tunz-tunz della villa accanto, il passaggio degli aerei, ma anche l’ampliamento eccessivo di alcune scene a soggetto non aiutano la concentrazione. Ma il finale a sorpresa lascia perplessi: non c’è più tempo per raccontare la consacrazione alla dea, che è invece un passaggio di elevazione interessante sul piano dei significati extratestuali.

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Va però lodata l’indubbia energia fisica e verbale di tutto il cast, a volte strabordante, altre perfettamente equilibrata, nonché la suggestione di oggetti, quinte e luci che, nella variazione costante, danno l’impressione del continuo cambiamento di luogo, di cui è ricco il romanzo. Notevoli alcuni costumi della Sartoria Capricci di Livorno che giocano fra storico e fiabesco, su tutti la maschera dell’asino.

Qualche trucco scenico, poi, sapeva di citazione nella citazione – come pure per lo spezzone di film muti – con un gusto per le scatole cinesi e per il richiamo ad altri significati, ad altri luoghi, ad altri tempi, secondo uno stile che appartiene pienamente anche alla tecnica narrativa del romanzo antico.

La passeggiata poi, dall’accesso in Via Appia nuova verso il Ninfeo, attraverso le rovine della Villa,  è un’altra pregiata nota positiva di questo evento e di tutto il festival che punta a unire insieme repertori classici e luoghi inusuali.

Ninfeo di Villa dei Quintili

L’asino d’oro

Produzione: TrisEtMas, TeatrEuropa di Corsica

Regia: Orlando Forioso

Con: Fabio Camassa, Luca Carrieri, Valeria D’Angelo, Marie-Paule Franceschetti, Orlando Forioso, Riccardo Mori, Pierantonio Savo Valente

Costumi: Sartoria Capricci di Livorno

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