9 ottobre 1963. 1910 morti. Una strage. Fatalità? Non c’è mai conforto di fronte ad una tragedia: chi rimane si sente inerme, impotente, forse anche in colpa, mentre cerca di sopravvivere al dolore.

Cosa succede, però, quando si viene a sapere che quella “valanga di sofferenza” poteva essere evitata? Cosa succede quando quel disastro nasconde una verità fatta d’ingiustizia, irresponsabilità, superficialità, sete di denaro? Cosa succede quando chi aveva il dovere di fare il proprio lavoro, si è impegnato solo per fare i propri interessi?

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Succede che il dolore si mescola con la rabbia, che il vuoto ha bisogno di risposte, che il senso d’impotenza diventa speranza, speranza di giustizia.

La prima volta che ho sentito parlare della strage del Vajont ero con la mia famiglia. La seconda volta mi trovavo a scuola. La terza volta l’ho sentita raccontare magistralmente da Marco Paolini nella sua orazione civile. Oggi, 12 ottobre 2023, con qualche anno in più, maggiore esperienza e soprattutto con una consapevolezza civica di ciò che mi e ci circonda, ho ripercorso una storia che pur avendo compiuto 60 anni, sembra purtroppo non invecchiare mai e risuona potente in tante di quelle tragedie che vengono richiamate anche alla fine dello spettacolo: Sarno, Val di Stava, San Giuliano di Puglia, Amatrice, Rigopiano, Genova.


La narrazione di Andrea Ortis richiama il teatro civico di Paolini, ma il regista decide di spingersi più in là, creando uno spettacolo che coinvolge anche altri linguaggi scenici.


Una scelta azzardata che all’inizio risulta quasi stridente ma che poi, nel corso del racconto, comincia ad avere un senso molto più profondo: la storia italiana, precedente alla tragedia, viene ripercorsa tra canzoni, ritagli di giornale e avvenimenti storici. Uno spettacolo a tratti musical che poi torna al teatro per tramutarsi nuovamente in narrazione civile, il tutto incorniciato da una diga che sovrasta la scena e il pubblico.


È lì, la diga, il simbolo dell’ingordigia umana che travolge tutto e tutti, dimentica delle leggi della natura e della morale.
E se la morale non ha un peso sulle coscienze di alcuni personaggi, protagonisti di una scellerata “corsa all’oro e all’ego”, purtroppo la vera padrona della Terra, la Natura, ricorda all’uomo che ci sono dei limiti che non vanno superati.


“Il Vajont di tutti, riflessi di speranza” è una commistione di musica, teatro di narrazione, dialoghi, proiezioni che ci fa riflettere e riflette una speranza che si rialza dal fango depositato dal dolore. Una melma che appesantisce ogni passo, che rende difficile la lotta, che sembra sommergere tutto finché la speranza della giustizia lascia posto al coraggio di non avere paura, proprio come quello di Tina Merlin, unica giornalista che lotterà fino all’ultimo, attraverso le sue parole, per urlare la verità che i “grandi progettisti” hanno preferito tacere.


In un mondo in cui ci sono dighe che generano incomprensioni e tensioni, che trattengono dolore e risentimenti, parlare di ciò che è stato permette di generare un’eco che risuona in maniera assordante non come il boato della tragedia, bensì come la rivendicazione di una comunità partecipe, consapevole, unita.

Emozionante la partecipazione dal vivo del coro “La voce della valle” – CAI di Cividale”.


Come ricorda l’interprete e regista Ortis:

“Ognuno ha il “suo” dolore ecco perché la storia del Vajont è la storia di tutti, un monito attualissimo che parla alle nostre coscienze, richiamandoci al ruolo di ospiti in questo pianeta, non di padroni». 


Il Rossetti ha ospitato il debutto nazionale de ” Il Vajont di tutti” che sarà presente, ancora per una sera, venerdì 13 ottobre, prima di partire per il suo tour.

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