PATRIZIA LAQUIDARA – LIVE A MILANO, TEATRO FONTANA, 29/4/2016

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Assistere a un concerto di Patrizia Laquidara è come entrare in una stanza piena di luce, dove le finestre spalancate fanno entrare la brezza della primavera che nasce.

Si sta immobili, a sentire il tepore del vento sulla pelle e godersi il sole che diventa man mano più forte. Si sorride, senza sapere bene il perché. E ci si sente trascinare, soddisfatti e beati.

Tutto merito della semplicità con cui l’artista vicentina offre al pubblico le sue creazioni, spogliate di ogni orpello e presentate con il solo ausilio di chitarra e basso acustici (e, occasionalmente, di una solid body  dai suoni distortissimi e dall’estetica da cartone animato). E della passione che ci mette, un’emozione che parte dal vestito rosso scelto per l’occasione e si carica attraverso le note e le melodie, e che riesce a tramutare in fuoco la glaciale perfezione del canto.

Il progetto live che la Laquidara porta in giro da qualche mese è, a prima vista, piuttosto bizzarro.

Pesca infatti in modo centellinato dal suo repertorio, composto da tre album uno più strabiliante dell’altro, senza neppure sfiorare l’ultimo suo disco, “Il canto dell’Anguana”, uscito nel 2011, che racchiude alcuni canti popolari del Nord-Est.

Si sofferma piuttosto in omaggi ad artisti amati (Chico Buarque, Cesaria Evora, Carlo Fava) e in cover stralunate (“Smells like teen spirit” dei Nirvana, già peraltro riportata 20 anni fa, da Tori Amos, alla sua tragica limpidezza) , divertite (“Material girl” di Madonna, quasi un omaggio ai poster della cameretta adolescenziale) e in qualche maniera sconvolgenti (la battistiana “La collina dei ciliegi” diventa, senza soluzione di continuità, “Can’t get you out of my head” di Kylie Minogue! E chissà cosa direbbe la vedova di Battisti, così assurdamente gelosa delle creazioni del marito, se sentisse come la Laquidara è in grado di passare dai racconti delle delizie agresti ai rantoli da popstar…).

E’ infine completato dalla lettura di piccoli racconti autobiografici, in grado di darci un ritratto vivido dell’infanzia della cantante e, contemporaneamente, di trasportarci in un mondo di fiabe e sogni che è universale.

Non di concerto si deve parlare, quindi, ma di vero e proprio spettacolo. Che ha in uno spazio chiuso, raccolto, come quello di un teatro, il suo senso ultimo, ed è per sua natura multimediale. E potrebbe perfino avvalersi, quindi, di supporti visivi, oltre che di musica e racconti. La cantante vicentina, d’altronde, già da tempo ha esteso i confini della sua arte, scegliendo di essere, oltre che musicista, anche attrice, poetessa, scrittrice. E qui ci può essere la summa del suo essere artista.

Beninteso, la musica è il suo terreno preferito. La sua incredibile estensione vocale, l’apparente facilità con cui riesce a raggiungere ogni nota, la versatilità nel canto, sono davvero sorprendenti. E paiono in continuo miglioramento. Seguiamo la Laquidara da sempre, fin dal suo esordio a Recanati con “Agisce” e poi  a Sanremo con “Lividi e fiori”, e l’abbiamo vista continuamente crescere e migliorare. Ora, la cantante pare avere raggiunto la propria maturità espressiva, un controllo totale del suo corpo e della sua emissione vocale, che la fanno apparire molto vicino alla perfezione.

L’ampio e convincente spettro della proposta artistica rendono la Laquidara raffinata ma anche popolare. All’estero, ciò la renderebbe una diva, acclamata dalla critica e osannata dal pubblico. In Italia, triste provincia di ogni impero, non è così. Per questo, vederla su un palco è un evento così prezioso e coinvolgente.

Il sereno perfezionismo e una sorta di matura accettazione delle cose, uniti a una curiosità multiforme, sono il leit-motiv anche della chiacchierata che abbiamo avuto con la cantante vicentina dopo lo spettacolo

Come mai hai deciso di creare uno spettacolo in cui alle canzoni si alternano racconti autobiografici? Quali sono le reazioni del pubblico alle tue letture, solitamente (visto che si può immaginare che il pubblico voglia vederti cantare, anziché leggere)?

Come mi succede spesso, leggere i miei racconti non e’ una cosa che ho deciso a tavolino. Ad un certo un punto ho deciso di raccontarmi attraverso la scrittura. Quando dico raccontar-mi intendo proprio questo, raccontare a me stessa. Ho cominciato a scrivere le mie storie, i miei ricordi, e spesso mi accorgevo che la realtà era trasfigurata dalla memoria  e dall’immaginazione e che in qualche modo scrivere , anche di cose che sono state dolorose, creava una sorta di redenzione, mia e delle persone accanto a me, come l’apertura dei rami di un albero genealogico immenso.  Una sera li ho portati con me ad un concerto e durante lo spettacolo ho deciso di leggerli. Proprio cosi, senza nessuna premeditazione. La reazione del pubblico e’ stata interessante, alla fine del concerto molti chiedevano di quei racconti, mi dicevano di riconoscersi, mi accorgevo di una specie di gioia, di emozione intima suscitata nelle persone  da queste letture. Da li ho deciso di portarli sempre con me, e durante i miei concerti , se credo l’atmosfera sia giusta , se sento che il pubblico e’ ricettivo, allora li leggo  e mi racconto anche cosi.

I racconti, poi, hanno un loro sviluppo narrativo, abbastanza solido. Hai intenzione di pubblicarli in futuro?

Mi piacerebbe. Ma per ora me li gusto cosi, non mi va di pensare “all’uso” che ne posso fare, e’ materiale ancora troppo vicino a me, troppo intimo quindi ha bisogno di altro svezzamento prima di andare da solo per il mondo.

Come mai nel tuo spettacolo dai così tanto spazio alle cover, e così poco ai tuoi pezzi originali? E poi, da dove deriva la scelta di “coverizzare” Kylie Minogue, una cantante che pare agli antipodi rispetto a te?

E Madonna? Non mi chiedi della cover di Madonna, Material girl? La scelta di cantare anche  altri autori deriva dal fatto che mi sento in egual modo autrice ed interprete. Tutte e due le cose mi danno uguale piacere. E poi c’e’ indubbiamente la mia passione per la forma  canzone, indipendentemente dal genere . Se mi piace una canzone, che sia mia o di altri, la canto. Se ci scovo dentro un qualcosa che mi sembra interessante, che mi parla  , se la melodia nascosta da arrangiamenti ultra pop, come nel caso della Minogue o di Madonna appunto, mi sembra possa serbare sorprese, allora mi ci inoltro . Material girl di Madonna di solito sorprende in tal senso il pubblico. Suonata e cantata cosi, assume un altro senso, un’ altra valenza. Anche la scelta di un accompagnamento scarno ed essenziale come le due chitarre classiche   per canzoni che invece in origine sono rock o super arrangiate o pop zuccherose , spesso si rivela interessante. Diverso invece quando si parla della cover di Chico Buarque. Li la scelta di interpretarlo deriva dal fatto che credo lui sia uno dei più grandi autori di canzoni. O meglio, credo che in fatto di canzoni il Brasile sia un bacino immenso di bellezza, di forma, di lirismo, di materiale testuale sorprendente. Peccato che molti, anche tra i musicisti non ne capiscano la profondità , magari ingannati da un ascolto  superficiale, che carpisce solo un aspetto frivolo e non quello doloroso, epico di un popolo in perenne trasformazione.

Spesso nella tua carriera hai creato progetti paralleli a quelli meramente discografici; scorrendo l’agenda dei tuoi spettacoli, passati e futuri, si notano serate in cui il pubblico va banalmente a vedere “il concerto di Patrizia Laquidara” e altre in cui invece il pubblico non sa bene cosa aspettarsi. Da cosa deriva questa molteplicità di approcci alla musica? Vista a posteriori, credi che ti abbia aiutato nello sviluppo della tua carriera?

Non so se questa molteplicità,questo essere in qualche modo  multiforme mi abbia aiutato nello sviluppo della mia carriera. Forse a ben guardare no. La gente e i discografici vogliono  dare un nome e una chiara identità a ciò che hanno avanti. Per definire,  per creare contorni netti. Ma  i contorni per me sono anche limiti e i limiti sono li per essere oltrepassati. E poi sono curiosa, mi innamoro delle cose, ancora e per fortuna. Mi incuriosisco, mi piace lavorare con gente diversa da cui posso apprendere. Credo, poi, alla fine, di essere io stessa molteplice. Ho due cani. Una volta un  amico musicista  mi ha detto : “ le persone prendono un cane  che gli assomiglia. Tu ne hai presi due perché non ne basta uno per riassumerti”  E spesso, quando li osservo mi accorgo che e’ proprio cosi

Oltre a donare alcuni tuoi brani per colonne sonore, ultimamente hai scelto anche di apparire come attrice, prima in due film poi in uno spettacolo teatrale. E’ una strada che intendi continuare a percorrere? Come ti sei trovata in quel ruolo?

Molto bene, mi sono divertita. Anche se i tempi lunghi delle riprese sono un po’ estenuanti per me. Durante uno di questi film ho avuto modo di conoscere Jodorowsky, di vederlo recitare, di cenarci insieme. E’ stato meraviglioso. Ma amo cantare prima di tutto, la musica , quel senso di famiglia che si forma sul palco, coi compagni musicisti, quell’essere li di fronte a un pubblico che puoi quasi toccare. Questo  e’ impagabile.

Nonostante la tua attività dal vivo sia continua, discograficamente hai scelto di centellinare le tue creazioni. E’ una scelta precisa, dinanzi a un mercato in cui la competizione è difficile? O cos’altro?

No, no, non e’ una scelta. Vivo perennemente con un senso di sottile frustrazione per le mie “pause lunghe” , rimproverandomi per la mia pigrizia, con un senso di accusa feroce  e in fondo  esagerata verso me stessa. Poi  ogni giorno mi ripeto “ potrei incidere questa, potrei registrare quest’altra” (canzone ndr), ma la mia attività live e’ sempre stata negli anni  piuttosto attiva e ho poco tempo per fermarmi anche se mi piacerebbe molto farlo e dedicarmi completamente alla scrittura e alla registrazione. Quando poi entro in studio, quel mondo , ovattato, racchiuso, da cui escono creature nuove, dove si può lavorare a un suono, dove l’attenzione per i particolari e’ essenziale, dove la musica può essere arrangiata fin nelle più piccole sfumature, quello e’ un momento magico.

Cosa pensi dell’attuale mercato discografico italiano?

Che e’ in grande difficolta’ lo sappiamo tutti. Che dobbiamo inventarci nuovi metodi di fruizione della musica ci stiamo pensando in tanti. Il paesaggio e’ ancora poco chiaro ma io sono speranzosa.

Cosa puoi dire riguardo all’esplosione dei talent show televisivi? Trovi che siano venute alla luce voci interessanti?

Voci bellissime, voci potenti, tecnicamente perfette piu’ che voci interessanti. Per rendere interessante la voce ci vuole l’esperienza, la vita e spesso mi sembra che li non ci sia, non abbastanza almeno. Pero’ e’ un fenomeno che ha il suo perché e il suo senso. E poi, appunto, alcune di quelle voci sono bellissime e ascoltarle e’ piacere. L’importante sarebbe che il talent show non si mangiasse tutto il resto, tutta quella molteplicità di musiche , di microcosmi, quella schiera di musicisti appartenenti ad altri ambiti quasi inudibili all’orecchio del grande pubblico ancora e solo impantanato nella musica di consumo.

Da sempre hai un rapporto molto particolare con la musica brasiliana. Cosa ti lega a quella terra?

La vita. L’amore, l’amicizia, la musica, la spiritualità.  Ho trovato tutto questo in Brasile nei vari viaggi che ho fatto in quella terra, il primo a 17 anni.

Sei anche da sempre molto attenta alle tradizioni popolari (“Il canto dell’Anguana” è uno dei pochi progetti culturali che scandagliano in modo profondo le tradizioni folk del Nord Italia). Pensi di ripetere un simile esperimento? E anche, magari, di estenderlo a regioni diverse dal Veneto?

Non credo di ripeterlo, sicuramente non di estenderlo a regioni diverse. Potrei forse farlo se passasi i prossimi miei 10 anni in Sicilia, allora potrei cantarla questa  mia amata  terra natia.  Ma altre regioni no. La tradizione, la musica popolare e’ un territorio sacro, ci si deve addentrare con cura e attenzione, con grande rispetto.

Se trovassi un brano adatto, ritorneresti a Sanremo?

Si ci tornerei, se avessi la canzone giusta. Ma il problema non e’ tornarci a Sanremo, e’  entrarci.

Se non ricordo male, hai anche insegnato canto. Se sì, continui a farlo? Che emozioni ti dà il poter trasmettere le tue competenze a giovani allieve?

Tengo alcuni seminari. Mi piace più la dimensione di gruppo. Quella sensazione di tribù che si crea quando si condivide insieme un suono, un’esperienza in un percorso collettivo che dura  solo  qualche ora o qualche giorno.

Cantante, autrice, attrice, scrittrice, performer, insegnante. Dov’è, adesso, Patrizia Laquidara? E dove sarà domani?

Più di tutto mi sento una donna, un’amica , un’amante , una persona che ha qualcosa da raccontare e lo fa con ciò che ha a disposizione. Oggi lo faccio mediante  l’arte ma se un giorno non lo potessi più fare cantando o scrivendo allora magari lo farei cucinando torte… chissà.

Hai progetti discografici? Puoi anticipare qualcosa?

Si ho un progetto discografico ma  non mi piace l’idea di anticiparlo. Sarebbe come mettere sul piatto un cibo che ancora dev’essere cucinato e che invece ha bisogno di lavorato per essere presentato in tavola  come merita.

Per questo Articolo/Intervista le immagini sono state fornite dall’ufficio stampa dell’artista/spettacolo. Si declinano per tanto ogni responsabilità relative ai crediti e diritti.

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