Un contest di teatro civile, commedia umana e pastiche teatrale. La rassegna nazionale di corti e atti unici organizzata dall’Associazione La Tana dell’Arte si è conclusa al Teatro Testaccio, il 30 e 31 marzo: una festa del teatro che palpita ed emerge dalle scene di diverse provincie italiane, fucine di talenti.

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Il teatro Testaccio è diventato una grande fabbrica, in senso “poietico”, di pieces: un carnet di situazioni, di differenti richiami artistici.

Sotto la conduzione scoppiettante di Elena Brera, il 30 marzo, si sono esibiti gli atti unici: sul palco si sono susseguite quattro compagnie che hanno dato forma a storie senza tempo, scenografie minimaliste dove semplici arredi di fortuna hanno condotto lo spettatore dalla Sicilia novecentesca di Pirandello ad un salotto bourgeois di Arthur Schnitzler fino ai giorni nostri. La giuria, Giorgia Traselli, Giuseppe Mannino, Donatella Barbagallo e Sandro Calabrese, doveva essere presieduta da Pippo Franco purtroppo assente per influenza stagionale.

Ha dato il via la compagnia “Costellazione” con “Chocolat”: in scena un avvincente mix di teatro, danza e musica con coreografie iconiche e dalla mimesi dirompente. Il pregiudizio e l’ottuso provincialismo di un paese qualunque che resta involontariamente travolto dal fascino della bella straniera, rea di aver sedotto le puritane menti del luogo con un’arma d’eccezione come il cioccolato, è reso con insolita plasticità, creando un movimento frenetico e vorticoso sul palco che gioca astutamente con le luci. La piece fa leva sull’aspetto coreografico e può contare sulla bravura di alcuni ruoli ma anche sulla vacuità e scarsa incisività di altri.

Subito dopo, “Scena Madre” di Schnitzler, un dialogo sul teatro che prende corpo nelle stramberie e capricci di un attore che non sa che trovare piacere nella rappresentazione di se stesso, nella vita come sul palcoscenico. La compagnia mette in scena nevrosi e tic narcisistici da ansia di performance permanente, per un uomo la cui vita tende a coincidere con lo stesso palcoscenico: unica consolazione, la sua donna che fa da specchio clemente alle sue debolezze.

Giusta dose d’isteria nell’attore protagonista della compagnia “Vox Animae”, la cui recitazione scanzonata cozza un po’ con l’affettazione generale.

Se non fosse per l’adorabile compagnia “Ipercaso” composta dal cast più giovane della serata che ha saputo giocare con il travestimento nell’inscenare “La Patente” di Pirandello, la platea sarebbe stata in gran parte conquistata da “Pilato” di Mario Alesssandro della compagnia “La Ribalta”. Pilato, procuratore della Galilea, ritorna sulla terra per mettere a tacere una volta per tutte il clichè abusato sulla sua persona: i tormenti di un uomo irrisolto nella tradizione storico-letteraria riemergono in una situazione attuale di presunta colpevolezza/innocenza, in chiave processuale mediatica. Pilato osserva la scena dal fondo palco quella scena dove infine tenta un rocambolesco quanto impossibile riscatto. Tensione e pathos in una piece forse troppo lunga ma le cui ambiziose intenzioni sociali la rendono una delle più meritevoli della serata.

Tornando al travestimento dei giovani attori de “La Patente”, forse un po’ da operetta, la sortita ha creato, magari a loro insaputa, un originale strabismo nello spettatore, dove maschera e personaggio inseguono due differenti livelli teatrali: le maschere dure e impietose che rappresentano la marginalità della Sicilia di Pirandello sui volti imberbi dei ragazzi della compagnia sembrano scimmiottare i personaggi della commedia caricandola di grottesco; il grottesco come livello teatrale aggiunto si mescola alla magistrale  e pedissequa recitazione.

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