Grande affluenza di pubblico, con una importante quantità di persone rimaste fuori dalla sala, per la proiezione sabato pomeriggio in anteprima assoluta di “Trieste, Yugoslavia” di Alessio Bozzer alla sala Tripcovich in occasione del Trieste Film Festival e alla presenza di regista, produttori e ideatrice.

 

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Trieste YugoslaviaProduzione italo-croata-bosniaca, “Trieste, Yugoslavia” è infatti nato da un soggetto originale di Wendy D’Ercole che voleva raccontare quello che secondo lei, e nel film si evince, è stato un fenomeno socio economico molto rilevante per Trieste.

 

 

PIAZZA PONTEROSSO: CAPITALE DELLO SHOPPING PER I VICINI YUGOSLAVI

Nonostante l’ idea sia nata parecchi anni fa, il progetto ha visto poi la luce solo da due anni a questa parte:  infatti raccogliendo testimonianze video attuali di persone, adulti o bambini ai tempi dei fatti narrati, e alternandoli a reperti video dell’epoca ci racconta la corsa dei vicini yugoslavi allo shopping triestino.

Dalla metà degli anni ’50 infatti Piazza Ponterosso, uno dei centri nevralgici di Trieste diventa un mito e la meta preferita per lo shopping d’oltre confine: shopping riguardante caffè, bambole, fumetti e jeans

Famiglie intere, ma non solo; si stima che arrivassero circa 50 pulmann al giorno pieni di turisti o “compratori”, milioni di yugoslavi che venivano a Trieste almeno due o tre volte l’anno e che arrivavano a portarsi a casa, superando anche  i controlli alle dogane con vari stratagemmi, anche centinaia di jeans o altro materiale di contrabbando già citato.

A questo riguardo, simpatica la testimonianza presente nel documentario di un impiegato della dogana: fermata un auto con una coppia a bordo, al chiedere cosa dichiarassero si trovò a scoprire che sì, trasportavano latte come dichiarato, ma in minima quantità rispetto a quella di grappa presente nella bottiglia che dichiaravano.

Rilevante anche che oltre a impiegati, commercianti dell’epoca e attuali,a ricordare questo fenomeno con affetto ci siano stati il sindaco di Trieste Dipiazza, Melita Richter (sociologa), Goran Bregovic e altri scrittori e giornalisti

A volte ci si prendeva e si diceva per darsi un tono ‘Andiamo a Trieste a bere un caffè

Il documentario viene presentato fuori concorso, ma è degno di nota per lo spaccato storico di cui racconta: della Trieste centro commerciale di quell’Occidente mitizzato  come status symbol di ricchezza da parte dei turisti che accorrevano anche solo per poter dire “Siamo stati a bere il caffè a Trieste”

Abitudini e shopping bruscamente interrotti poi all’inizio degli anni ’90 con la chiusura del confine yugoslavo e l’inizio di lì a poco della guerra.

Per chi si fosse perso il film, non temete ci sarà una seconda occasione di vederlo in replica nel finale del festival, il 29 Gennaio alle ore 17!

 

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