“TUTTO PER BENE” : Lavia e le maschere pirandelliane

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Gabriele Lavia, dopo il successo della stagione passata, dirige e interpreta  ancora una volta al Teatro Argentina di Roma “Tutto per bene”,  il dramma privato di Martino Lori narrato da Pirandello prima sotto forma di novella e poi, nel 1920, di spettacolo teatrale.  Attraverso le maschere e le finzioni vengono messe in luce le incongruità e le contraddizioni che coinvolgono gli aspetti della vita di una famiglia apparentemente “per bene”, specchio di una società in decadenza e di una realtà borghese fatta di esistenze chiuse e spesso di intrecci umani paradossali.

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Martino Lori, vedovo ormai da sedici anni, assiste all’ improvviso al capovolgimento  di tutte le sue certezze:  scopre che sua moglie, verso la quale è ancora estremamente devoto, lo tradiva con il suo amico, il senatore Salvo Manfroni (Gianni De Lellis) e, Palma interpretata da Lucia Lavia , giovane figlia che da anni lo disprezza, non è quindi sua figlia.

A seguito di questa confessione i legami familiari si frantumano e si ricompongono  intrecciandosi a loro volta in un sistema di inganni e di illusioni in cui ogni verità diventa immediatamente relativa e inafferrabile:  “Tutto rovesciato; sottosopra. Sì. Il mondo che ti si ripresenta tutt’a un tratto nuovo, come non ti eri mai neppure sognato di poterlo vedere. Apro gli occhi adesso! ”; ma proprio nel momento in cui tutto sembra perduto il protagonista, nel pieno della sua sofferenza, dà un senso al suo passato e rimette insieme i pezzi mancanti della sua esistenza.

L’intero spettacolo si svolge in un ambiente in cui la luce, leggermente filtrata, riesce appena ad incastonarsi  nei grandi spazi bui esaltando il contrasto tra realtà e maschera, tra illusione e verità. Anche la scenografia riproduce spazi ampi  e ordinati che rivelano però sensazioni claustrofobiche, in perfetta sintonia con le angosce, le tensioni psichiche e le solitudini personali  che emergono dai dialoghi dei personaggi.

Quando a  tratti la scena si interrompe e  gli attori, quasi danzando, camminano a ritroso, arrivando a creare uno spazio velatamente onirico in cui il tempo sembra fermarsi,  viene  esaltata la frattura interna, la dicotomia dei sentimenti che investe Martino Lori e le persone che gli sono intorno. Tutto è sospeso e i personaggi come delle marionette sembrano mossi dall’alto  in balìa della vita stessa, al di là delle loro stesse volontà. L’interpretazione che Lavia regala al pubblico, lasciandosi cucire perfettamente il dramma personale di Martino Lori e sviscerando anche nei minimi movimenti e dettagli la psicologia del personaggio, esprime al meglio una sintesi della poetica pirandelliana. È  durante il secondo atto che lo spettacolo si snoda e prende ritmo senza scadere mai nel patetico e lasciando lo spettatore totalmente catturato dalla vivacità e dalla forza della narrazione.

Il gioco delle parti che si scardinano, le contraddizioni che lentamente emergono, i ruoli che si ridefiniscono, le fratture sentimentali che prendono corpo e le crudeli verità che la vita impone e con le quali inevitabilmente si devono fare i conti, diventano materia attuale e spunto per una profonda riflessione. Allora, come il protagonista insegna, non si può più restare impassibili: è necessario agire andando a fondo, per recuperare la stima degli altri e la dignità, grazie alla consapevolezza e l’amara consolazione che, ormai,  «chi ha capito il giuoco, non riesce più a ingannarsi; ma chi non riesce più a ingannarsi non può più prendere né gusto né piacere alla vita. Così è».

Teatro Argentina di Roma: dal 16 gennaio al fino al 27 gennaio 2013.

 

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