Le notti bianche. Un sogno dimesso, quasi a metà

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Un testo difficile da recitare, ricco e denso, emblematico senso dell’amore. Paure sottomesse non esplorate, sottaciute e non vissute. Rinunce di fronte alla chiusura verso il nuovo che, a volte, si riscontra ai giorni nostri.

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Una versione de Le Notti Bianche mesta, completamente diversa da una precedente interpretazione alla quale ho assistito lo scorso marzo presso la Casa delle Culture.

Il Teatro Millelire ha inserito lo spettacolo in cartellone dal 7 al 12 ottobre e presentato dalla compagnia il Rinoceronte.

L’adattamento e la regia sono di John Blaz. La visione è sempre quella consueta, sullo sfondo sinistro si svolge l’azione.

Una panchina bianca denota un luogo aperto, due quinte nere e i protagonisti.

Alessandro Giova e Gioia Montanari, così, semplicemente, hanno dato vita al tipo, personaggio senza nome e a Nasten’ka.

Tratto dal romanzo di Fëdor Dostoevskij questo ridotto punto di vista ha lasciato comprendere stralci di una narrazione complessa e piena di significati non banali.

Semplicità, timidezza, saggezza e tenerezza, molto sentite, mi son sembrate chiavi, suoni e rimandi di caratteri che rifuggono il nuovo, lo allontanano, nonostante timidi tentativi. Ancorati a paure soffocanti che fanno chiudere a riccio, vivibili solo a loro stessi, soli e, che, se vissute e affrontate, potrebbero sconvolgere le personalità.

Nonostante un po’ di tensione degli interpreti, ho notato timbri di voce sottolineati con più determinazione rispetto al contesto, rimanendo sul personaggio e facendo trapelare sofferenza e pianto.

Il tono malinconico trascina verso il sogno. Sogni, sciocchi e eterei.

Molteplici gli interrogativi tra i due interlocutori. Insicurezze di non piacere, di parlare tanto, di pianificare un futuro insieme, tanto l’innamoramento e l’amore potrebbero arrivare.

L’attesa è pesante, incessante come gocce di pioggia e passi di un uomo e lacrime che solcano il dolore.

Ma la solitudine ritorna e il vecchio amore, atteso per un anno, sono costrizione e scelta finale.

Ci si muove dentro stacchi in nero e luce bianca. In sottofondo musica classica.

Rossini (L’italiana in Algeri – Ouverture), Verdi (La forza del destino – Ouverture)  e una melodia scelta come tema conduttore, motivo anni ’30, che si accorda con l’insieme, il Tema popolare francese utilizzato da Jean Renoir in Boudu salvato dalle acque del 1932.

Lavoro ben svolto da Andrea Pergolari, il quale con attenzione non lascia nulla al caso, guidando suoni e illuminazione.

Nonostante l’emozione e i pensieri che, in modo vorticoso, mi hanno fatto evadere e hanno circolato nell’aria, il testo de Le Notti Bianche non mi ha delusa. E’ colmo di amore, di accorgimenti, di delicatezza, di immagini e di scogli da superare e tanta solitudine soffocata affinché il mondo circostante possa non deludere per non spezzare il cuore. Rinunce e nascondigli che ognuno di noi, forse, vive per non smascherarsi del tutto e annegare nelle contraddizioni di sempre.

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