Dal 15 giugno è arrivata l’attesissima sesta stagione di Black Mirror su Netflix

Finalmente è uscita l’attesissima sesta stagione di Black Mirror, ma per capire l’emozione legata a questo grande ritorno dobbiamo fare un passo indietro. Black Mirror è una serie televisiva britannica creata da Charlie Brooker.

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Charlie Brooker, il debutto e l’ascesa di Black Mirror

Presentatore televisivo, scrittore e produttore, Charlie Brooker aveva dimostrato fin dagli esordi della sua carriera una vena fortemente satirica e un interesse verso l’attualità, la psicologia e la violenza umana. Ha spaziato dalla scrittura di programmi come “The 11 O’clock Show”, serie di sketch satirici su notizie dall’attualità, al genere horror e thriller. Il suo progetto più famoso, Black Mirror, ha debuttato nel 2012. Acquisito da Netflix nel 2016, è diventato presto una delle punte di diamante della piattaforma. Si tratta di una serie antologica in cui ogni episodio rappresenta una narrazione autonoma, un piccolo universo dalle tinte fantascientifiche, distopiche e satiriche. Lo spettatore s’immerge in storie dalle tinte fosche, con una violenza che spesso sconfina nell’horror ma che porta sempre a delle riflessioni più profonde sulla natura umana. E come collante del tutto c’è lei, la tecnologia, miglior alleata e peggior nemica dell’umanità.

Negli anni, Black Mirror ha riscosso un enorme successo di pubblico e di critica. Molti recensori l’hanno eletta una delle migliori serie tv dal 2010 e ha vinto svariati premi tra cui sei Emmy Award. Nonostante ciò, l’ultima stagione era stata rilasciata nel 2019 e in molti si stavano chiedendo “dov’è finito Black Mirror?”.

Ebbene, eccolo qui.

Dal 15 giugno è approdata su Netflix la sesta stagione di Black Mirror con i suoi 5 episodi: “Joan Is Awful”, “Loch Henry”, “Beyond the Sea”, “Mazey Day” e “Demon 79”. L’emozione per il ritorno di una serie che ha fatto la storia della televisione è palpabile. Tuttavia quello che ha reso tanto godibile quest’ultima stagione non è solo la narrazione, quanto anche la “rinarrazione”. E parlo in particolare dell’episodio “Joan Is Awful”.

Questo primo episodio parla della piattaforma fittizia Streamberry, scimmiottamento di Netflix, dove appare la serie “Joan Is Awful”. Questa nuova serie sembrerebbe raccontare per filo e per segno la vita di Joan, una spettatrice di Streamberry, con tanto di particolari intimi e imbarazzanti. La vera Joan, Annie Murphy, viene interpretata su Streamberry da Salma Hayek, che fa tutto quello che fa lei. Ma non è la vera Hayek. Nella finzione della serie, infatti, la Hayek avrebbe ceduto la propria immagine, poi inserita nella serie mediante CGI.

Narrare è ciò che ci rende umani

Fin dall’antichità noi esseri umani abbiamo sentito il bisogno di esprimere la nostra esperienza. Che fosse attraverso pitture rupestri o racconti attorno al fuoco, l’uomo ha sempre tradotto la realtà che lo circondava in una narrazione. Quante volte, per analizzare una lite o una perdita e tutti i sentimenti complessi che ne derivano come ansia, rabbia o dolore, prendiamo carta e penna e ne scriviamo? Non servono a questo i diari? Così smettiamo di essere schiavi degli eventi e diventiamo gli autori del nostro destino. Perché una buona dose di autodeterminazione nasce dal prendere le distanze dalle cose e comprendere veramente qual è la realtà che ci circonda.

Oggi le narrazioni ci sommergono. Viviamo in un mondo iperglobalizzato e iperconnesso. Ogni individuo in ogni momento da tutto il mondo può raccontare qualcosa e ognuno di noi in ogni momento può ascoltarlo. Si cercano sempre nuovi contenuti, nuove emozioni, portando il corpo e la coscienza umani ai loro limiti massimi. Eppure l’essere umano è un animale e come tale fugge il pericolo, l’incertezza, lo sconosciuto. Tutti noi invece, anche se inconsapevolmente, cerchiamo la ripetizione. La dolce, sicura e familiare ripetizione di ciò che già conosciamo. Le citazioni, i sequel, i grandi remake, i camei, sono tutte cose che ci riportano alla mente qualcosa di già conosciuto e amato. Entra quindi in gioco il sottile piacere della “rinarrazione” di Black Mirror 6.

La “rinarrazione” di “Joan Is Awful”

In primis colpisce l’ironia della piattaforma fittizia Streamberry, scimmiottamento che Netflix fa di sé stesso in diversi episodi. E poi il colpo di genio, Streamberry viene creata veramente online, con tanto di possibilità per gli utenti di dare il proprio volto ad una serie personalizzata. La quarta parete si assottiglia ancora di più e la narrazione di Black Mirror continua a riproporsi nella vita reale. Parafrasando Oscar Wilde, quanto è l’arte a imitare la vita e quanto è la vita che imita l’arte? Ma non è finita, tra i titoli disponibili sulla piattaforma compaiono svariate citazioni a episodi delle stagioni precedenti di Black Mirror stesso. E se non bastasse, nel primo episodio della sesta stagione “Joan Is Awful” vediamo i nostri protagonisti scorrere i titoli di Streamberry e parlare della serie “Loch Henry”, titolo del secondo episodio della stagione 6.

Attenzione: zona spoiler da qui in avanti!

Tutto si complica quando, nella serie “Joan Is Awful” di Streamberry, Salma Hayek che interpreta Joan guarda la serie “Joan Is Awful”, proprio come fa la vera Joan nella vita reale. E in questo terzo livello di “Joan Is Awful”, Joan non viene più interpretata da Salma Hayek, che ora è la spettatrice, bensì da Cate Blanchett. Si crea così un loop infinito di autorappresentazione che stordisce ma diverte moltissimo. L’incredibile colpo di scena arriva quando scopriamo che neanche la vera Joan, Annie Murhpy, è la vera Joan, bensì un’immagine digitale della vera Joan. Si trovano tutti nel “livello fittizio 1” che apre le porte a un’infinità di altri livelli fittizi creati da un super computer quantistico. Determinata a riprendere la propria vita in mano, “Annie Murphy-Joan” distrugge il computer, distruggendo quindi anche la realtà che pensava di vivere.

Il finale pirandelliano

Stacco alla vera realtà, incontriamo la vera Joan. Scopriamo che tutto quello che ha fatto la “Annie Murphy-Joan” nel corso dell’episodio, l’ha fatto prima la vera Joan. E tutto quello che ha fatto la “vera Salma Hayek” l’ha fatto prima la vera Annie Murphy, complice della vera Joan. Ogni loro azione, decisione, idea, non erano loro a compierla spontaneamente. Al contrario, ne erano inconsapevolmente costrette, perché stavano solo mettendo in scena in una serie tv eventi già accaduti. Ci viene quindi proposta una riflessione quasi metafisica che ci ricorda quella di “6 personaggi in cerca di autore” di Pirandello, opera teatrale in cui i personaggi di un dramma sono stati abbandonati dal loro autore. Essi infatti, in quanto personaggi, sono costretti a rimettere in scena la loro storia, che lo vogliano o no, con conseguenze catastrofiche. In un’atmosfera alla “Truman Show”, a noi spettatori verrebbe quasi da chiederci timorosamente quanto siamo veramente in comando della nostra vita. Quanto siamo noi a costruire il nostro destino e quanto ci facciamo influenzare dal contesto, dalle maschere che ci auto imponiamo e da ciò che pensiamo di dover volere.

Il piacere di farsi influenzare

Ed è qui il nocciolo di tutto, il piacere immortale della rinarrazione. “Joan Is Awful” contiene una miriade di influenze provenienti da altre fonti. Da film come “Inception” e “Matrix” a libri come “1984” di George Orwell, dalla filosofia alla scienza alla vita reale, fino al tema oggi dibattuto più che mai dell’intelligenza artificiale. Per secoli l’uomo si è trovato faccia a faccia con sé stesso e si è scoperto insicuro del potere che aveva sulla propria vita. Un dilemma che si è acuito con l’incontro tra esseri umani e tecnologia. Si tratta di dubbi che fanno parte del DNA umano. Dubbi a cui nessuno è in grado di dare una risposta certa e che quindi trascendono il tempo e lo spazio. Tra cloni, istituzioni che s’intromettono nella vita privata dei cittadini e diversi livelli di realtà creati da super computer, “Joan Is Awful” sembrerebbe portarci contenuti un po’ stantii, soprattutto nell’epoca del Multiverso. Tuttavia il grande successo riscosso tra gli spettatori viene giustificato proprio dal nostro bisogno di “rinarrazione”. Si può persino arrivare agli inizi remoti della filosofia per rintracciare la vera domanda alla base di tutto. Quanto potere ho sulla mia vita? Sono io il capitano della mia rotta? Chi sono io?    

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