Torna al Teatro Brancaccio di Roma fino al 27 febbraio il musical La Piccola bottega degli orrori dei premiatissimi Howard Ashman e Alan Menken, coppia d’oro di autori – anche per la Disney – a cavallo fra gli anni Ottanta e Novanta.

- Advertisement -

Si tratta di un cult e, come altri, ha avuto una alterna fortuna fra i generi, passando dalla letteratura, al palco fino allo schermo, in un gioco continuo di rimandi e citazioni. Si parte, probabilmente, dal racconto Green Thoughts di John Collier trasformato nel 1960 in un B-Movie girato in pochi giorni. Nel 1982 Ashman e Menken lo trasformano in una produzione Off Broadway che colpisce l’immaginario del regista Frank Oz, esperto e appassionato di personaggi-burattini e forse affascinato in particolare da Audrey II, tanto da farne nel 1986 una seconda versione cinematografica. Per il ritorno in palco il passo è breve e in poco tempo lo show si impone in piccoli e grandi teatri, fino al recente revival di Broadway.

La produzione di Alessandro Longobardi ha un allestimento accattivante che cavalca l’onda queer oggi di moda, ma senza troppe spettacolarità.

Le scene di Gianluca Amodio infatti costruiscono luministicamente uno skyline che dal proscenio chiude lo spazio del palco e limita i contorni di questa città americana, meno degradata e spaventosa di quanto non fosse l’originale, ma dalle linee eleganti e quasi pubblicitarie. L’elemento scenico centrale è lo spazio della bottega (più di quello dello studio dentistico, suo completamento) che è incorniciato da un praticabile, così da avere due piani scenici: la bottega in basso, suddivisa in esterno e interno, e il ponte in alto, come un passaggio pedonale su una linea di metro o un altro elemento caratteristico delle metropoli americane. La bottega muta cromaticamente con l’evolversi della storia, partendo da un grigio amorfo e riempiendosi di nuovi elementi glitterati di pari passo al crescere dell’orrorifica pianta. Forse a simboleggiarne una vittoria non solo sul piano drammaturgico, ma anche su quello etico: la crudeltà del successo a tutti i costi che divora – come il Crono di Francisco Goya – i suoi stessi figli.

La Piccola Bottega degli orrori

Tali elementi però restano decorativi, senza interazioni con le azioni o i sentimenti dei personaggi e la loro evoluzione. Come per lo skyline, la bellezza della scena non entra nella drammaturgia, ne resta un’ottima cornice. Lo stesso vale per i costumi di Francesca Grossi che propone alcune soluzioni originali, soprattutto per le tre ragazze, ma a volte lontane rispetto al personaggio che li indossa. L’elemento più creativo è l’abito-scena di Audrey II: il mondo drag, tuttavia, poteva aprire a soluzioni ancora più ardite.

Su questo sfondo esteticamente ineccepibile, la regia di Piero di Blasio costruisce un sistema di rapporti fra i personaggi, i numeri musicali e gli spazi scenici (esterno-interno) che sembra lasciare ampio margine agli interpreti. L’insieme funziona e crea uno spettacolo gradevole e spesso originale, senza quel controllo – a volte ossessivo – che caratterizza molte regie dei musical londinesi. Se questo sia un pregio o meno spetta più al pubblico che alla critica deciderlo, anche perché in ogni atto di “traduzione” inevitabilmente qualcosa si perde e qualcosa si acquista. Alcune scene, infatti, sono assai divertenti sia sul fronte registico sia sul fronte testuale, ma a tratti qualche staticità ha penalizzato l’ottimale riuscita di un’idea di regia dalla indubbia volontà innovativa.

Sul fronte musicale, grazie alla direzione di Dino Scuderi e alle fedeli basi di Riccardo Di Paola, tutti gli interpreti hanno raggiunto un interessante equilibrio fra timbri, tempi, ritmi e caratterizzazione, con alcuni picchi di notevole appeal vocale non solo fra i protagonisti. Giampiero Ingrassia, veterano del ruolo, incarna con stile e professionalità l’imbarazzo e la goffagine di Seymour, tanto nelle movenze indecise quanto nella perfezione degli interventi in scena, con l’eccezionalità di un canto credibile e misurato. Fabio Canino ha molti tratti in comune con il Signor Mushnik, ma un timbro più accattivante nel canto e un dinamismo più agile avrebbero giovato. Belia Martin è ironica e in parte, in più la scelta di un’artista per certi versi estranea ai canoni tradizionali del ruolo di Audrey dà un bel calcio alle polemiche – più americane che nostrane – sulla scelta dei cast.

La Piccola Bottega degli orrori teatro Brancaccio

A questo si aggiunga che la Martin ha una voce meravigliosa, che dosa per non oltrepassare i limiti della parte e che armonizza assai bene con quella di Ingrassia. Emiliano Geppetti mette in luce tutte le sue doti non solo nel ruolo di Scrivello, ma anche nelle simpatiche comparsate successive, che molto ricordano Delia Scala e Renato Rascel nel Giorno della Tartaruga: brevi, simpatiche e incisive. Novità dell’allestimento – ormai già collaudata – è Lorenzo Di Pietro in arte Velma K che incarna Audrey II. Questa scelta di far interpretare la pianta carnivora a una drag queen condiziona, in parte, alcune scelte estetiche e, sostanzialmente, arricchisce lo show di un elemento assente nella concezione originale. Velma K è una performer eccellente sia nel canto sia nella modulazione orrorifica della voce, a tratti grottesca più dell’originale perché percepita su un essere umano piantificato e non su una pianta umanizzata. Ma le sue potenzialità non sono ancora espresse pienamente: forse le scene, forse il costume, di certo le coreografie potrebbero ampliarne la portata drammaturgica e spostare ancora di più l’asse dai due reali protagonisti dell’azione. Eccellenza vocale, e spesso anche scenica, quella delle tre ragazze Giovanna D’Angi, Elena Nieri e Claudia Portale, ciascuna con un timbro e un carisma che promettono sviluppi futuri. Simpatico l’ensemble anche se superficialmente innestato nel gioco scenico: le coreografie, dinamiche ma poco incisive, di Luca Peluso non sono sufficienti a metterlo nella giusta luce.

GIAMPIERO INGRASSIA | FABIO CANINO | BELIA MARTIN

LA PICCOLA BOTTEGA DEGLI ORRORI il musical

TESTI E LIBRETTO DI HOWARD ASHMAN | MUSICHE DI ALAN MENKEN

BASATO SUL FILM DI ROGER CORMAN | SCENEGGIATURA DI CHARLES GRIFFITH

E CON

EMILIANO GEPPETTI | LORENZO DI PIETRO IN ARTE VELMA K

GIOVANNA D’ANGI | ELENA NIERI | CLAUDIA PORTALE

ENSEMBLE

Paolo Ciferri | Mario Piana  | Jessica Aiello | Gaia Soprano

SCENE GIANLUCA AMODIO | COSTUMI FRANCESCA GROSSI

COREOGRAFIE LUCA PELUSO | DIREZIONE MUSICALE DINO SCUDERI | REALIZZAZIONE BASI RICCARDO DI PAOLA

- Advertisement -

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here

Moderazione dei commenti attiva. Il tuo commento non apparirà immediatamente.

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.