Ancora una volta il Trieste Film Festival fa la sua scelta coraggiosa, quella di aprire la sua sezione dedicata ai lungometraggi proiettando, come evento speciale, The Green Border della regista polacca Agnieszka Holland, in uscita nelle sale italiane l’8 febbraio.

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Una pellicola aveva già trionfato al Festival di Venezia e, prima ancora, fatto discutere in Polonia per i temi trattati. Tanto che il governo di Duda e l’allora ministro dell’interno Pobozy imposero alle sale che, a precedere la proiezione, ci fosse un disclaimer che avvertisse il pubblico dei “contenuti pieni di falsità e distorsioni”.

Un film che arriva dritto allo stomaco già entro i primi dieci minuti, dopo venti si trattiene a fatica la voglia di fuggire via da quella inaccettabile crudeltà che stride con l’idea di Europa che abbiamo noi, gente dal passaporto fortunato.

Una famiglia di rifugiati siriani, una donna afgana, degli attivisti e un soldato che non riesce a guardarsi allo specchio, conducono lo spettatore lungo la lingua di confine di verde e filo spinato tra la Bielorussia di Lukasenka e la Polonia di Duda (EU e Nato). Se l’inferno avesse le paludi sarebbe quello. Un posto dove si muore mille volte, rimbalzati da un lato all’altro del filo spinato, sotto gli occhi di un’Europa democratica che si dice civilizzata ma piena di rigurgiti del passato.

Un racconto che nessuno vorrebbe mai sentire, figurarsi viverlo. Un racconto che andrebbe visto e riguardato in loop. Una cura Ludovico da sottoporre a governanti, reazionari, oligarchi e famigliotradizionalisti.

The Green Border è una coproduzione internazionale senza alcun sostegno pubblico da parte della Polonia, a distribuirlo è la Movies Inspired. Una sala davvero gremita lo ha visto al Rossetti grazie al Trieste Film Festival e l’auspicio è che anche grazie al passaparola e al rumore, il giorno dell’uscita nelle sale italiane, questa pellicola possa continuare a farsi strada e a essere vista, ancora e ancora.

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