Definito “il ballerino dei ballerini”: danzatore sublime, coreografo, avventuriero, dandy, lavoratore instancabile, a distanza di anni dalla sua scomparsa Rudolf Nureyev continua ad ammaliare schiere di ammiratori.

La sua vita assomiglia a un romanzo, in cui bellezza, passione, talento, ribellione, nostalgia e solitudine si intrecciano inesorabilmente: dalla leggendaria nascita su un vagone della Transiberiana sperduto nelle steppe russe nel 1938, al rocambolesco e fortunoso passaggio all’Ovest nel 1961, dal sodalizio professionale e sentimentale con la più celebre étoile del tempo, la divina dame Margot Fonteyn, alle innumerevoli relazioni omosessuali con famosi artisti (il ballerino danese Erik Bruhn, gli attori Anthony Perkinks e Jean-Claude Brialy, il compositore Leonard Bernstein), dal successo travolgente sui più prestigiosi palcoscenici internazionali al ruolo di protagonista nel ruolo di Rodolfo Valentino in un film diretto da Ken Russell anche se il suo debutto cinematografico avvenne con la versione per il grande schermo di “Les Sylphides”, fino all’incarico, nel 1983, a direttore del “Balletto dell’Opéra” di Parigi in cui si dedicò alla formazione e promozione di giovani stelle tersicoree, alle performance come direttore d’Orchestra fino alla prematura morte, avvenuta nel 1993.

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Questa biografia (pubblicata in Italia dalla casa editrice torinese Lindau nella collana “I Quarzi / Grandi Biografie”) risulta molto emozionante, si legge tutta d’un fiato e dona un ritratto del “tartaro volante” preziosa di aneddoti e ricordi, riportando alla luce episodi inediti della sua vicenda esistenziale ed artistica, ed è un omaggio al genio e al coraggio, dettagliatamente redatta dallo scrittore e giornalista francese Bertrand Meyer-Stabley (noto per essersi distinto con numerose biografie e aver diretto la rivista “Elle”).

Nureyev fu assai influente nell’ambito della danza classica riuscendo ad accentuare e imporre l’importanza dei ruoli maschili ma fu anche l’artefice che mise fine alla separazione tra balletto classico e danza moderna, interpretando entrambe le discipline con lo stesso trasporto artistico e tecnico che lo pose a precursore di un nuovo “corso”.

Un altro celebre “mito” e ballerino russo, Michail Barysnikov, nella citazione posta in epigrafe lo definisce:

“Aveva il carisma e la semplicità di un uomo della terra, e l’arroganza inaccessibile degli dei”.

Mentre il poeta Paul Valéry lo dipingeva così:

“Riunisce in sé, fa propria una maestà che era confusa in tutti noi… Con i suoi passi pieni di ispirazione, sembra cancellare dalla terra ogni fatica, e ogni stupidità… Entra nell’eccezione e penetra in ciò che non è possibile”.

L’ultima sua uscita pubblica avvenne nel 1992 per la rappresentazione della “Bayadère” al Palais Garnier di Parigi dove ricevette una commovente standing ovation e l’allora Ministro della Cultura francese Jack Lang gli conferì la massima onorificenza culturale francese e cioè il titolo di “Chevalier de l’Ordre des Arts et des Lettres”.
Il libro conta 269 pagine nella bella traduzione di Elga Mugellini ed è impreziosito da un inserto fotografico e da alcune appendici che includono i riferimenti bibliografici, l’elenco completo degli allestimenti e delle coreografie di Nureyev, i coreografi da lui invitati all’Opéra di Parigi e una ricca bibliografia.

La biografia del celebre “ribelle” si chiude con le struggenti parole:

“(…) Poi gli ammiratori si avvicinano per gettare un giglio bianco sul feretro di colui che, attraversando il mondo di corsa, fu l’ultimo zar della danza.”

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